Titolo impegnativo, significante, che contiene una moltitudine di significati che vorrei analizzare e condividere con voi. Forse posterò più di un articolo su questo argomento . Oggi incomincio dalla paziente protagonista dei miei ultimi post. Entra in studio sorridente e sicura di se, elegante come sempre e perfettamente truccata. Dopo avermi salutata con un ampio sorriso: “Oggi è la nostra ultima seduta” dice guardandomi negli occhi e sedendosi sulla poltroncina di fronte alla scrivania. Non ha guardato nemmeno per un attimo il lettino di analisi. Poi, anticipando il mio commento, prosegue ” Non è una decisione improvvisa, ci stavo pensando da un po’ di tempo, ma continuavo a rimandare di seduta in seduta ……….sa cos’è?….temevo la sua reazione! …….Non mi fraintenda…..avevo paura che lei riuscisse a convincermi che non ero pronta…….Invece io sono pronta a camminare sulle mie gambe ….ecco l’ho detto!” Più l’ascoltavo e più dalle sue parole traspariva sicumera non autentica consapevolezza di sé. Persisteva la strategia difensiva di negare la sua fragilità. Mi trovavo in una posizione piuttosto scomoda: rischiavo di colludere con la sua nevrosi sia condividendo la sua decisione sia contestandola. Lei intanto mi sollecitava a rispondere sempre più irritata dal mio silenzio. “Ecco lo sapevo che lei mi avrebbe rovinato questo momento di gioia, lo sapevo……..ma se crede con il suo silenzio di farmi cambiare idea, si sbaglia, si sbaglia di grosso.” Si accende nervosamente una sigaretta, pur sapendo che qui non è consentito fumare . Ovviamente cerca di provocare una mia reazione. “Fuma per consolidare la sua decisione ?” La mia domanda la sconcerta. Spegne immediatamente la sigaretta nel portacenere, poi mi guarda , incerta se parlare o no. C’è un piccolo movimento di labbra, ma non esce alcun suono. Io sono consapevole di muovermi su un terreno minato e devo soppesare ogni parola ; in me passano emozioni contrastanti: frustrazione e rabbia per il suo narcisismo apparentemente invincibile, pena e tenerezza per questa donna di valore che non riesce a stimarsi, a volersi bene, a manifestare tutte le sue doti e capacità. Scelgo un tema neutro e razionale, il contratto. “Lei si ricorda cosa prevedeva il contratto?” Mi guarda sorpresa “Cosa c’entra il contratto adesso?” “Il contratto prevede che passino almeno sei mesi dal giorno in cui si decide il fine analisi e la fine della medesima . Perciò se lei mi comunica oggi che vuole terminare l’analisi, dovremo ancora lavorare insieme per altri sei mesi prima di salutarci per sempre.” Ho volutamente usato “sempre” per sottolineare l’epilogo del trattamento analitico. La paziente mi guarda muta, non ostenta la solita baldanza e, per quanto mi ricordo, è l prima volta che la sento autentica, sincera. Poi mi dice: “Va bene, lavoreremo insieme questi ultimi sei mesi. Grazie adesso vado via…..ho bisogno di pensare….posso?”- Non serve rispondere verbalmente. Ci alziamo tutte e due e ci salutiamo dandoci la mano. Ecco dunque in campo il tema di questo post : la SEPARAZIONE . Con la nascita noi viviamo la prima separazione della nostra vita. Qualche psicoanalista la descrive come “il trauma della nascita” che influenzerà la nostra vita futura, anche se non ne siamo sempre consapevoli. In realtà alcuni comportamenti sia infantili che adulti testimonierebbero in questo senso. Per esempio ci sono delle persone che hanno bisogno del buio assoluto per dormire. Potrebbe essere interpretato come il tentativo inconscio di tornare nel rifugio uterino sicuro, negando l’esperienza traumatica della nascita, cioè della fuoriuscita dal buio dell’interno del corpo materno alla luce accecante di una sala parto?! Al contrario ci sono persone che non sopportano di dormire nel buio assoluto e hanno invece bisogno di una luce anche fievole, purché sia luce! Per queste persone la nascita non è un trauma, ma una separazione salvifica: il neonato è espulso, a volte anche prima del tempo previsto, ( a sette mesi o a otto mesi ). Portare un figlio in pancia per nove mesi è un’esperienza complessa emotivamente e fisicamente. Al desiderio consapevole di avere un figlio/a non sempre corrisponde un uguale desiderio inconscio. E allora queste emozioni contrastanti sono trasmesse inconsciamente al figlio/a che vuole restare il più a lungo possibile nella pancia (vedi i parti ritardati) o invece vuole uscire il prima possibile ( vedi parti anticipati). E vediamo poi bambini “mammoni” o bambini indipendenti, che tendono a ” scappare”, a ” correre via , a cercare nuove esperienze”. Il vissuto di questa prima separazione influenzerà tutte le altre separazioni, che costellano la vita di ciascuno di noi. Anzi possiamo dire che la nostra vita è all’insegna della separazione. Pensiamo a semplici gesti quotidiani : chiudere la porta di casa e uscire . Non è una separazione? Accompagnare i figli piccoli a scuola e lasciarli al portone, non è anche questa una separazione? E poi tanti altri esempi che potete trovare voi stessi.” Ma sono separazioni temporanee” rileverà qualcuno . Si, è vero, ma qualcuno potrebbe inconsciamente viverle come definitive, se nella sua infanzia c’è stata precocemente una separazione troppo prolungata nel tempo. Si tratta di situazioni limite, ma che comunque possono influenzare i rapporti interpersonali.
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